domenica 12 luglio 2009

Uomini d'onore e femmine disonorate

Contrariamente a quanto scrivevo l'ultima volta, mi sono infine deciso a partire insieme ad Ambrogio per l'Argentina, da cui sono rientrato ieri dopo quattro settimane di vero relax. Ma si è trattato di un semplice viaggio: non sono ancora pronto per l'esilio volontario a cui si è dato, felice, il nostro ex-maggiordomo. Lui sembra rinato, ha cambiato look e fisionomia e assomiglia ora al miglior Julio Iglesias. Sta per aprire un'agenzia di emigrazione-immigrazione a Buenos Aires: aiuterà quegli Argentini che in patria sono vessati da una legislazione per reati finanziari troppo severa a trasferirsi nel paradiso della libertà del bilancio creativo, dove le pene per bancarotta fraudolenta sono miti (se mai si scontano) e essere inquisiti o condannati aiuta la scalata sociale al parlamento (e viceversa). Nel contempo assisterà quegli Italiani, stanchi di giovanile libertà, che desiderano trascorrere gli anni della loro vecchiaia al riparo di un contesto civico sereno, strutturato da regole certe. "È una specie di import-export umano", mi ha spiegato Ambrogio-Julio, lisciandosi la brillantina sulla chioma. "Sono i vantaggi della mondializzazione: ognuno si sceglie il paese dove pensa di andare a stare meglio, secondo la sua indole".

Lui sa già che in Italia non tornerà più. Come cittadino s'intende, perché come turista ci tornerà di certo: il bel Paese resta comunque, e resterà per almeno altre cinque generazioni di abusivismo palazzinaro, il più bello del mondo. Rientrando in patria insieme ad Ambrogio che doveva recuperare le sue ultime cose lasciate in Italia, dal finestrino dell'aereo di Stato messoci gentilmente a disposizione da papi (con nullaosta preventivo della Procura di Roma), osservavamo ammirati la bellezza delle nostre coste, gli sprazzi azzurri dei nostri laghi, la supremazia della macchia mediterranea che ancora arriva a lambire i paesini, la spina dorsale che sono gli Appennini per la nostra penisola, i rilievi imbiancati delle Alpi, e ci sembrarono tutti dei monumenti muti, rimasti a guardarsi, o a non perdersi di vista, l'un l'altro, cotti nell'assordante rumore del paese gattone, abbandonati alla quiete della non speranza: come degli eroi tramutati in immobili testimoni di un tempo senza più sensibilità, dove il "nostro" non c'è più, il bello non fa più vibrare un'anima, e vero e falso valgono per quanto danno rispettivamente da mangiare.

A convincermi a partire per il Sudamerica era stata la storica intervista rilasciata da Patrizia D'Addario, in cui la bella signora raccontava con meticolosa dovizia di particolari di una sera trascorsa qui, nella casa mia e del mio coinquilino. Davanti a una tale deontologia cronachistica, da fare invidia alla maggior parte dei cronisti nostrani, mi sono sentito autorizzato a chiudere provvisoriamente il mio occhio su "casa papi", tanto più che la signora ha dimostrato di saperne molto più di me sul mio compagno, oltre a poterne vantare una conoscenza sia biblica che edìpica che io non possiedo. Finalmente capivo la ragione di quei misteriosi rapimenti di cui fui oggetto ripetute volte, di notte e all'improvviso, quando le braccione del gorilla di turno mi infilavano in una gabbietta con tendine scure, per recapitarmi dopo ore di viaggi circolari nelle mani del custode di una delle ville di papi. A quanto pare erano le torte a essermi proibite, perché agli incontri a due di solito ero ammesso. Sospetto che la presenza di un gatto sfinge non predisponesse le ragazze alla volontaria sottomissione cui poteva ispirare "il barboncino che leccava i piedi" visto dalla D'Addario. Evidentemente era anch'egli, come le squillo, un elemento d'arredo estemporaneo, dato che a parte le macchie di piscio (che ho sempre addebitato al cammello in anticamera) di lui non è mai rimasta traccia.

Al mio ritorno ho trovato il mio convivente più stanco che mai. Più che il G8 lo sta sfinendo la ferrea astinenza sessuale a cui lo hanno costretto i suoi tutori, Giulianone e sua eminenza pokerista Telesina. Sembra che le abbiano provate tutte per placare la fame satiriaca di papi. Ma le bambole gonfiabili supertecnologiche fatte arrivare dal Giappone non sono programmate per eccitarsi davanti ai filmini di Bush e non hanno in memoria la canzone "Meno male che Silvio c'è". La contorsionista trasportata a palazzo dentro una valigia non può fare docce ghiacciate se non si vuole che un'artrosi le irrigidisca le giunture quando sarà il momento di rimpacchettarla per l'uscita di scena. E poi sempre si tratterebbe di monotoni scambi a due. Papi ha fame di torte.

Anche la speranza che a breve il paese gattone torni ad appassionarsi un po' più delle mitiche amicizie sicule del mio convivente, concedendogli così più libertà di manovra sul versante festini, sembra vana, come ha dimostrato la scomparsa di uno scoop notevole da tutta l'informazione virtual-cartacea d'Italia. E così per il momento dovrà accontentarsi di riempire la casa di uomini d'onore, anziché di femmine disonorate.

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