martedì 26 gennaio 2010

Je so' pazzo

Sembra dunque che l'esilio africano del mio compagno debba essere nuovamente rinviato, questa volta per il sovrano volere del Senato della Repubblica italiana. La sensazione è anzi che dovrà passare del tempo prima che il mio balio sia costretto a ricalcare le orme peregrine lasciate in Maghreb dalle ciabatte del suo amico Bettino anni or sono. Infatti la leggina che impone ai giudici un limite di tempo entro il quale assicurare criminali provati alle patrie galere si applica retroattivamente anche ai processi in corso, fra cui quello che da un anno cerca di identificare il misterioso corruttore di un certo corrotto acclarato, del quale circola un identikit piuttosto familiare.

Telesina ha l'aria preoccupata, nonostante diversi commentatori in questi giorni assicurino che la leggina sia solo uno spauracchio per sdoganare un altro provvedimento, meno letale per la nazione ma altrettanto provvidenziale per i processi del mio coinquilino. Ma Telesina conosce meglio di chiunque altro la follia del mio convivente, che egli stesso invoca citando Erasmo da Rotterdam credendolo un calciatore olandese. Ne conosce l'annosa infezione sifilitica che gli ha divorato mezzo cervello. E ne conosce pure la sindrome di Sansone che lo spinge, oltre alla cura morbosa di un'immaginaria criniera, anche a meditare l'abbattimento delle colonne portanti dello Stato pur di far strage dei giudici filistei da cui si sente perseguitato.

Telesina teme che il raptus permanente che, unico insieme al Viagra, è ancora capace di stimolare il sistema nervoso di papi, lo possa portare davvero a imporre alla sua servitù parlamentare una legge che grazierebbe a caso colpevoli di qualsiasi reato a seconda della durata del processo, vale a dire anche dello stato di salute dei giudici, della viabilità delle strade che conducono ai tribunali e delle condizioni atmosferiche. È con queste parole che Telesina ha provato a far riflettere il mio compagno. Ha paragonato la leggina a un "gratta e vinci" dove conterebbe la fortuna (o la cognizione) del bandito di finire a processo contro una procura oberata di lavoro, per averla vinta nella gara contro il tempo. Ma il mio coinquilino ha fulminato Telesina sfoderando tutta la sua cultura giuridica, imparata per corrispondenza da Provenzano: "Ma perché, fortuna e giustizia non sono la stessa cosa? E allora perché le disegnano sempre tutte e due bendate?".

Svanite in questo modo le speranze di una moral suasion, Telesina ha deciso di creare un diversivo per l'opinione pubblica. Ha convocato lo zoo di corte in casa e, camminando in mezzo a quelle bestie, tra ringhi e grattate si è messo a ponderare quale usare per far passare in secondo piano il gratta e vinci criminale. Infine ha scelto il botolino che fa la guardia al ministero della Pubblica Amministrazione.

Costui è un raro caso di nanomegalomania: così affamato di notorietà da accaparrarsi anche gli insulti a lui non destinati. Ha riscritto più volte il proprio passato per apparire un nuovo protagonista della politica, mentre invece è un rappezzato galoppino di uno dei satrapi del sopracitato Bettino; si vanta di essere un economista, mentre invece si infilò in università grazie a una sanatoria di precari, portando in dote due ignoratissime pubblicazioni. Si è autocandidato al Nobel per l'economia, ma alla commissione di Stoccolma il suo contributo all'esplosione del debito pubblico italiano quando era consulente del governo Craxi non ha mai colpito troppo come referenza. Insomma, per Telesina uno schizoide ideale per distrarre il pubblico dal processo breve.

Fra i miti personali che il piccolo ha elaborato per sè c'è anche quello di essersi fatto da solo. È così che lui immagina essere avvenuto il suo ingresso nel mondo: appena diciottenne fu messo alla porta dal padre, severo custode delle tradizioni teutoniche di famiglia, nel gelido paesaggio invernale della steppa russa. In realtà ha cazzeggiato al caldo nella casa dei suoi fino a oltre i trent'anni, quando una notte in una discoteca di Jesolo cozzò contro bellicapelli De Michelis che, fulminato dal physique du role del personaggio, lo arruolò all'istante nel leggendario codazzo di nani e ballerine del grande capo.

Dunque l'altro ieri Telesina si è avvicinato al rabbioso botolo e l'ha aizzato, ricordandogli da una parte il film del suo svezzamento precoce e dall'altra imprecando contro le schiere di precari, contrattisti e disoccupati d'Italia che per una malintesa generosità dei genitori non vengono messi sulla strada. Il ministro canino ha latrato di rimando che ci avrebbe pensato lui: e così è nata l'idea di sbattere tutti i diciottenni fuori di casa per legge.

Grazie a questo diversivo qualche oppositore ha mollato la presa sul processo a tempo e si è messo a inseguire il piccolo mastino col randello, ma i più non si sono fatti distrarre. Per fortuna gli amici del PD hanno completato l'opera di diversione. Baffo d'argento si è subito sdebitato per la nomina a capo del comitato di controllo dei servizi segreti, concessagli dal mio compagno in riconoscimento della sua carriera di sbianchettatore, dichiarando guerra all'elettorato del suo partito in Puglia. Poi è intervenuto anche il sindaco di Bologna a rinverdire la tradizione scandalistica del PD, che dal caso Marrazzo ormai languiva.

Alla fine il brutto caso del processo gratta e vinci giaceva ben sepolto sotto queste e altre amene minchiate. Telesina poteva respirare: ancora una volta aveva salvato la faccia del suo strumento politico, il mio coinquilino. Il sorriso di sollievo con cui venne a trovarlo dopo l'operazione riuscita si indurì però di fronte allo spettacolo di lui e Apicella che provavano un nuovo repertorio di canzoni napoletane. Con grande spirito di identificazione, papi cantava un successo di Pino Daniele.

Je so' pazzo
je so' pazzo
e vogl'essere chi vogl'io
ascite fore d'a casa mia.
Je so' pazzo
je so' pazzo
c'ho il popolo che mi aspetta
e scusate vado di fretta
non mi date sempre ragione
io lo so che sono un errore
nella vita voglio vivere
almeno un giorno da leone
e lo Stato questa volta
non mi deve condannare
pecché so' pazzo-oh-oh,
je so' pazzo-oh-oh
nun 'nce scassate 'o cazzo!

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